Il discorso che tende a svilupparsi in questi paragrafi è un’indagine, una riflessione o un tentativo di comprendere l’essenza e il perché dell’ultima opera di Nicolò Pellizzon (Lezioni di anatomia; Amari consigli), cercando di darle un nome e una collocazione in uno spazio che lei stessa non ha voluto identificare. Culto non è un testo che di per sé si presta ad essere recensito in maniera tradizionale: non si tratta infatti di una storia concepita nel senso canonico del termine. Volendo essere totalmente onesti, il volume assomiglia più ad un artbook che ad una graphic novel. Pagina dopo pagina l’artista delinea una raccolta di molteplici spunti di riflessione, un intreccio di pensieri e concetti, estratti di coscienza e memoria mescolati al sogno, all’esoterismo e alla magia.
Realtà illusoria o illusione realistica
Nel costruire la mutevole architettura del testo, la cui forma lineare è soltanto una delle sue possibili manifestazioni, Pellizzon ci immerge in un panorama surreale e senza tempo fatto di immagini frammentarie, attraverso le quali sembra di intuire un percorso, un sentiero che l’artista potrebbe aver tracciato per noi. La totale assenza di gabbie, vignette e balloon, marca la volontà di appropriarsi dello spazio senza nessun tipo di restrizione, in totale libertà e fantasia. È soltanto il colore a creare uno stacco tra un’inquadratura e l’altra, e lo fa senza sforzarsi di creare una divisione netta, ma amalgamando il tutto come se si trattasse di un’unica immagine. Culto ci trascina in un’illusione strettamente intrecciata alla realtà, confondendo il vero con il falso e ribaltando il confine tra sonno e veglia. Ricordi lontani che si mescolano tra loro assieme a sogni di vite vissute o solamente immaginate.
Come anticipato, non si tratta di una narrazione nel senso tradizionale del termine. Se nella maggior parte dei fumetti è infatti possibile riconoscere temi e punti chiave universalmente condivisi come oggetto di discussione, Culto fa di tutto per non rendere semplice e immediata quest’operazione, che risulta invece estremamente problematica. Un flusso di coscienza, il quale prevede che la mente sia lasciata libera di vagare tra le pagine, cogliendo secondo la propria sensibilità e percezione, il significato dietro ad ogni figura, in un percorso estremamente individuale e multiforme per complessità e stratificazione. Cercare di dare un senso logico al testo e all’accostarsi tra loro delle diverse raffigurazioni rischia di produrre esclusivamente un generale senso di confusione e frustrazione, non conducendo oltremodo ad alcun risultato utile. Bisogna semplicemente abbandonarsi al flusso e lasciarsi trasportare, proprio come farebbe un bastoncino nella corrente di un torrente di montagna.
Arte, pensiero e coscienza
Mantenendosi indefinito nella forma, Culto è un’esperienza divulgata al pubblico affinché diventi qualcosa di personale. Così come ad ognuno dei personaggi coinvolti viene dato lo spazio per una riflessione intima, un diario dove riversare in modo totalmente libero i propri pensieri, così accade per il lettore, che non necessita di ricadere nella dicotomia tra giusto e sbagliato nell’interpretare ciò che vede, bensì è portato a riflettere su quel che ogni immagine è capace di trasmettergli in prima persona e quanto essa è in grado di lasciare. Si tratta dunque si una valutazione totalmente soggettiva ed effettuata nella più totale libertà, perché strettamente unita alla nostra visone della realtà e dell’astratto.
Potrete controbattere che ogni opera è soggetta a questo tipo di operazione e valutazione. Culto però compie un’ulteriore passo, che lo avvicina più ad un esercizio creativo e sperimentale che ad un progetto di natura lineare e definita, determinato da un unico senso di lettura e incasellato tra un inizio e una fine. In questo viaggio senza meta numerosi e più o meno velati sono i riferimenti a figure e movimenti cardine della storia dell’arte. I bianchi e freddi occhi dell’Urlo di Munch, Kandinsky, il Cubismo, gli studi di anatomia di Leonardo, Francis Bacon, nature morte le Veneri paleolitiche. Un omaggio che Pellizzon fonde perfettamente con la sua arte, rendendo così i possibili rimandi niente affatto scontati e che testimoniano la sua formazione di stampo accademico.
Culto: Culto ha lasciato in me sensazioni contrastanti, al punto che non ero nemmeno sicura che fosse un'opera a cui fosse possibile dare un voto. In un certo senso è possibile considerare questo volume come uno di quei testi che assumono significati diversi con il passare del tempo e che hanno la rara capacità di non invecchiare mai. – Margherita -_maggie_r