Nato come Ashita no Joe, solo successivamente è diventato famoso a tutti come Rocky Joe, nonostante il nome del protagonista attaccabrighe sia Joe Yabuki. Rimane da non confondere con l’omonimo pugile interpretato dal gigante del cinema Sly.
Rocky Joe 50 anni dopo fa ancora parlare di sé. Come giusto che sia. Quest’anno, oltretutto, è un anno particolare per celebrare l’opera. Festeggia ben 55 anni dall’inizio della sua serializzazione, nel 1968, ed esattamente 50 anni dalla sua fine, nel 1973. Possiamo dire che, pur con l’evolversi dei tempi ed i cambiamenti sociali all’interno del Giappone, a livello narrativo è invecchiata più che bene. Composta da 20 tankobon, in Italia è stata riproposta, dopo i difetti di incollaggio della prima tiratura, la Perfect Edition, composta da 13 numeri.
Iniziare a scrivere un focus su un’opera riconosciuta ed immortale come Rocky Joe è un azzardo ed una sfida. Non è mai semplice parlare di qualcosa che ha raggiunto vette inarrivabili. Ma andiamo con ordine. Rocky Joe è uno shounen la sua importanza è riconosciuta pressoché da tutti e consigliarlo, oggigiorno, sembra quasi una futilità. Ma sicuramente c’è ancora qualcuno che non ha ancora iniziato l’approccio, necessitando di una spinta o che non lo conosca.
Il manga è stato scritto da Asao Takamori con i disegni di Tetsuya Chiba.
Non solo un semplice spokon
Verso la fine della seconda metà degli anni ’60 non vi era ancora, probabilmente, una distinzione netta tra shounen e seinen (n.d.r. la cui differenza a farla è la rivista di pubblicazione) come vi è magari nei nostri giorni. In ogni caso non è di certo focalizzato per un pubblico troppo giovane, che potrebbe non cogliere appieno il senso dell’opera, perdendosi dei passaggi, di crescita e sviluppo di personaggi e storia. Ma anche per la crudezza della stessa, da non sottovalutare. Il target è sicuramente quello spokon, visti i temi sportivi della boxe, ma va oltre inserendo ciò come scopo di vita di Joe Yabuki, il protagonista. Va oltre perché risulta essere uno spaccato della società giapponese, dei suoi bassifondi, del periodo storico in cui il racconto si poggia.
La scalata, dal fango…
Il tutto inizia con un Joe che si ritrova ad essere ben lontano dal salire su un ring. Anzi nemmeno lo desidera, né ci pensa. Vengono mostrati prima di tutto i bassifondi giapponesi degli anni a cavallo tra il 1960 e ‘70. La vita quotidiana, la miseria e povertà, l’abbandono in cui vengono lasciate a sé stesse le persone costrette ad arrancare con le proprie forze, finendo, delle volte, a divenire fannulloni e ladri. Una condizione vista pesantemente in una società come quella giapponese. Ma c’è anche chi riesce ad emergere da questa situazione tragica e disperata in cui sono nati. Lottando contro il proprio destino, a testa alta, magari ampliando la propria attività lavorativa un poco alla volta, un passo alla volta. La determinazione e la volontà di andare avanti si presentano sotto diverse forme all’interno delle pagine.
Rocky Joe prima di uno spokon sulla boxe è un ritratto del Giappone più degradato. Ci è aperta una finestra verso un’ambientazione che risulta essere fondamentale per lo scaturire del racconto, ma che è anche una critica ed una denuncia. Un modo di far conoscere che è presente questa realtà, che spesso vogliamo nascondere a noi stessi.
Una rivalità per il podio
Tra gli spokon spesso sorgono dei confronti, anche se delle volte rimangono azzardati. Opere come Rocky Joe non possono essere messe a confronto con altre, essendo un qualcosa che va oltre il generis. Ma spesso, se si parla di spokon, salta in evidenza Slam Dunk. Quest’ultimo, realizzato da Takehiko Inoue, tra il 1990 ed il 1996, è incentrato sul basket. Le due storie sono grandemente diverse, così come gli sviluppi, anche se i due protagonisti, Joe ed Hanamichi, qualche punto in comune lo hanno.
Oggi sussiste questa sorta di rivalità per il podio di miglior manga sportivo, pur riconoscendo la grandezza di entrambi. Probabilmente per come viene gestita la parte tecnica dello sport Slam Dunk è superiore, senza nulla togliere a come ciò è gestito in Rocky Joe nel quale gli approfondimenti non mancano. Forse un confronto bisognerebbe piuttosto farlo con Rikudo, sempre di pugilato. Ma, è proprio necessario dover procedere per accostamenti ogni volta?
Una storia di crescita…
Il manga si apre con Joe Yabuki, un orfano, senza alcun posto in cui andare, vagabondeggiare per i bassifondi di un quartiere del Giappone. Non è dato conoscere il luogo da cui proviene. Al suo arrivo sfocia subito il suo carattere rissoso, da teppista, ed è proprio durante una rissa che viene puntato da un certo Tange. Ex pugile ed allenatore, ora solamente un ubriacone che ha raggiunto il fondo, vede in quel giovane, che tira pugni, con uno stile scoordinato e selvaggio che si porterà dietro per sempre, una luce per il futuro, per il domani.
Il “vecchio”, così viene il più delle volte chiamato, prima in modo sicuramente dispregiativo, poi con toni più amichevoli, cercherà in ogni modo di convincere il giovane ad entrare nel mondo del pugilato, per costruirgli una strada. Joe non vuole sentire ragioni, è fermo nella sua decisione, non gliene piò interessare di meno. Poi, improvvisa, una fiamma si accende. Un fuoco che divamperà ed arderà sempre più, facendolo sentire vivo per la prima volta. Il ring diventerà la sua casa, la sua sola ed unica ragione di vita. La sua ossessione.
“[…] Forse non mi sono spiegato bene… io non faccio boxe solo per debiti ed obblighi morali… la pratico perché mi piace. È una giovinezza un po’ diversa da come la immagini tu ma… non poche volte ho provato una sensazione di appagamento, come di un fuoco che brucia… e proprio sul ring coperto di sangue. Non faccio come tanta gente che si accontenta di sopravvivere all’ombra senza mai sentire il fuoco della vita… anche solo per pochi istanti io bricio di una fiamma rossa ed accecante. E poi… quello che resta dopo è solo bianchissima cenere”
… che brucia come un incendio
La boxe, che tanto ripudiava, per lo più per puro disinteresse, gli ha cambiato la vita.
Da ragazzo di strada che arrancava con furti e truffe, per cui finirà addirittura in riformatorio, luogo che inizierà a temprarlo e gli darà l’occasione di conoscere la sua eterna nemesi ed allo stesso tempo amico, a uomo con uno scopo per cui bruciare. Uno scopo che in più di un’occasione lascia a desiderare il lettore, osservando il percorso sempre più buio, pericoloso ed autodistruttivo che sta rincorrendo Joe, incurante degli avvertimenti che riceve continuamente. Una strada che lo sbatterà al tappeto più di una volta, allontanandolo dalle persone che lo amano e di cui accetterà il fatto solo troppo tardi.
“Il teppistello che ho scovato tra le baracche… il delinquete che è stato in riformatorio… è arrivato a far suonare per lui l’inno dalla stessa polizia che lo inseguiva.”
Il protagonista ed i personaggi
Provare simpatia e tifare per il protagonista è una cosa che non sorgerà spontanea. Già questo è sicuramente un punto di forza per l’intera opera, la quale pur mostrando continuamente il punto di vista di Joe, difficilmente lo si appoggerà. Quando, al contrario, in gran parte delle opere fai il tifo fin da subito per il personaggio principale, qui avviene solo dopo la metà, se non quasi giunti agli ultimi volumi.
Yabuki è una testa calda, dannatamente testardo, un ragazzo che vive sempre nel filo del rasoio, con i nervi a fior di pelle, troppo arrogante con chi cerca di porgere la mano. Consapevole di com’è, di come il suo carattere plasmi la sua strada ed il suo essere visto, sembra non accennare quasi mai ad un cambiamento. Più per paura di mostrarsi senza la sua maschera, costruita nella sua infanzia a noi sconosciuta. Joe Yabuki è un personaggio incredibile. Seguirlo dal primo capitolo fino alla fine. Cominciando odiandolo e finendo per amarlo, per il suo cambiamento e per la sua incredibile forza di volontà.
L’opera non funziona solo con Joe. Attorno al protagonista ci sono una moltitudine di personaggi fondamentali e caratterizzati in maniera così reale ed umana.
Abbiamo l’ubriacone ed allenatore Tange, che prima di tutto si vede come un padre per il ragazzo, pronto a proteggerlo e a subire al suo posto.
L’amico e spalla Nishi, conosciuto in riformatorio finiscono per entrare nel mondo della boxe e ad allenarsi insieme. Un personaggio che ha subito un’enorme evoluzione sia fisica che caratteriale, ma che con lo scorrere dei volumi vedremo sempre meno, quasi messo apparentemente in secondo piano. Ha preso la sua strada e probabilmente è stata anche una scelta per non togliere spazio a Joe, portando di conseguenza ad una gestione altrimenti più complicata della storia.
Sempre dal carcere minorile, facciamo la conoscenza di Rikiishi, eterno rivale e fantasma che si porterà appresso fino alla fine.
Yoko, ricca ereditiera, proprietaria di una prestigiosa palestra, sarà l’ombra di Joe per tutta la storia. Un’ombra che appare dapprima opprimente ed insistente che finirà per essere disprezzata dal protagonista, continuamente offesa ma la quale incassa, quasi come un pugile, rimanendo sempre in guardia. Yoko appare come il secondo protagonista di tutta la storia, un personaggio scomodo da gestire, ma che si inserisce e funziona egregiamente e sicuramente indispensabile per tirare i fili della vicenda.
Seguono poi molteplici personaggi che appaiono secondari, altri solo in parte, che formeranno il carattere e la figura del campione Joe. I ragazzi e gli adulti della baraccopoli, i gestori del negozio di alimentari, i giornalisti, che lo seguono ovunque essendo, “l’Attaccabrighe Joe”, fonte infinita di scoop, e gli stessi campioni che affronterà nel ring, nella sua casa.
Un’opera immortale
Rocky Joe è sicuramente tra i pilastri della nona arte. Un manga che contiene ed incastra alla perfezione la povertà, la disoccupazione e la giustizia, toccando quindi temi sociali. La perseveranza di raggiungere i propri obiettivi, non fermandosi e non sottostando davanti a nulla e nessuno, rimarcando la risolutezza del proprio carattere. Tratta l’abbandono e l’amore, del come quest’ultimo viene rifiutato da chi non l’ha mai conosciuto, di chi non ha mai provato sulla propria pelle un piccolo gesto di gentilezza che viene visto solo come una falsità o una scusa per ottenere in cambio qualcosa.
Fa pensare… e molto. Ci si ritrova più di una volta a doversi fermare per ripercorrere i gesti e le conseguenze di una determinata azione, del perché di quella scelta, di quel comportamento. Per questo motivo va letto lentamente, prendendosi il tempo che serve.
Tematica portante è il costruirsi la strada per il futuro, attraverso diverse lezioni impartite da Tangei al protagonista, per poter, un giorno, percorrere il ponte della lacrime al contrario. Un ponte visto come un simbolo. L’hai attraversato senza nulla, a testa bassa, dovrai ripercorrerlo nell’altro senso. Questi insegnamenti porteranno Joe a seguire una strada volutamente a senso unico, non volendo vedere altro, e che lo porterà alla sua inevitabile e conscia autodistruzione. Nonostante tutti questi temi forti, dolorosi, di insegnamenti sulla vita, che tutti dovrebbero leggere, sa anche farti ridere, sa alleggerire la situazione che si sta vivendo in quelle pagine. Il tutto in modo così spontaneo e naturale.
Il finale per eccellenza
Si arriva infine al finale che non è uno qualunque ma è “il finale”. La perfezione. Quanto si vorrebbe vedere sempre qualcosa di questo tipo. Tutto ha portato a quel momento ed era con ogni probabilità prevedibile da molto prima. Sì, perché Rocky Joe non si legge soltanto, ma si osserva in ogni minimo particolare, in ogni più piccola sfaccettatura. La risposta c’è, anche se celata e nascosta, e, infine tutto torna. Ogni dialogo risulta importante, non c’è nulla di superfluo o buttato al caso. Si arriva all’ultima pagina immaginandosi la conclusione, ma ciò non toglie la potenza emotiva che il finale per antonomasia porta con sé.
In conclusione, Rocky Joe è un manga capace di demolire a livello emotivo il lettore durante tutto l’arco della storia, in grado di porti davanti a più scelte e percorsi di vita da cui si può solo imparare.