Ben ritrovati! Eccoci qui con il secondo appuntamento con la terza stagione di The Mandalorian, che seguiremo passo dopo passo nelle prossime settimane. Il primo episodio, seppur di breve durata, ha inaugurato il nuovo ciclo di avventure che vede protagonisti Din Djarin e il piccolo Grogu. Se vi siete persi la nostra recensione del primo episodio niente paura, la potete recuperare qui e proseguire con noi il viaggio verso Mandalore e nella cultura mandaloriana.
Quel che resta di Mandalore
Din Djarin e Grogu giungono finalmente su Mandalore. Obiettivo del viaggio è trovare le antiche miniere di beskar e le acque viventi, dove il mandaloriano dovrà immergersi per recuperare il suo status di membro della comunità, cessando così di essere un reietto. Il pianeta si presenta come un luogo desolato e distrutto, devastato dai danni provocati dalle bombe imperiali sganciate durante La Grande Purga. Un luogo inospitale e deserto, un pianeta maledetto, ben lontano dall’ambiente verdeggiante e rigoglioso che era un tempo. Dalle parole che Din Djarin rivolge al bambino traspare tutta la sua tristezza per le condizioni della terra del suo popolo, così come per la sua storia, nonostante egli non ci sia mai stato. Emerge nuovamente, come già accaduto nelle stagioni passate, il profondo attaccamento del mandaloriano per la cultura che l’ha accolto, i cui fondamenti sono radicati in lui corpo e anima.
Svolgendosi in maggioranza nei sotterranei del pianeta, attraverso le rovine dell’antica città, prevalgono toni e ambienti scuri, che ben delineano e rafforzano la desolazione che aleggia su tutto il territorio. Mandalore è una dimora di fantasmi, una tomba che testimonia il passato e i resti di una civiltà di guerrieri capaci un tempo di rivaleggiare in forza e abilità con i Jedi, ora ridotta ad una pallida ombra di se stessa, dove solo creature pericolose e selvagge sono sopravvissute. Con l’aiuto di Bo Katan, il duo si addentra sempre più in profondità, in senso letterale e figurato, nella storia di Mandalore e della famiglia Kryze, che un tempo governava quei luoghi.

Rewatch ?
Durante le stagioni passate, The Mandalorian ha dimostrato la capacità di saper collegare vari punti del vasto universo di George Lucas, intrecciando riferimenti e personaggi provenienti dai vari elementi costitutivi del franchise con la trama corrente, aumentandone così il livello di complessità. Nonostante le citazioni siano piccole delizie per i fan, queste devono anche essere collocate e presentate nelle giusta maniera, senza ostacolare lo svolgimento e l’ampliamento della trama. Se già il primo episodio della stagione era ricco di riferimenti ai passati cicli narrativi, questa seconda puntata sembra volersi espandere e puntare più in alto o meglio più indietro nel tempo. E’ soprattutto la presenza di Bo Katan a fornire gli spunti verso episodi passati, legati in modo particolare alla serie Star Wars: The Clone Wars, prodotto che all’epoca della sua uscita segnò la prima vera apparizione del personaggio all’interno del franchise.

Con una narrazione che sembra essere sempre più orientata nel porre la cultura mandaloriana come perno centrale all’interno della storia, piuttosto che sull’instaurarsi del legame tra Grogu e Din Djarin e la ricerca dei Jedi rimasti, viene spontaneo chiedersi se non sia il caso di recuperare i fatti accaduti nella serie sopracitata (e volendo essere davvero pignoli anche quelli di Star Wars: Rebels). The Mandalorian sembra vivere, almeno per il momento, più di riferimenti e citazioni che dell’intenzione di costruire qualcosa di nuovo a livello di linee narrative. Il risultato è un episodio dallo sviluppo lento, con poca azione e ancora meno colpi di scena; come se questo non bastasse, quello che dovrebbe essere il perno centrale e avvenimento maggiormente rilevante della puntata, viene trattato in maniera frettolosa e superficiale, eliminando completamente tutto il pathos che avrebbe potuto avere.