The Whale – Recensione

Brendan Fraser ce l’ha fatta. Aggiudicandosi l’ambita statuetta per la miglior interpretazione principale, l’attore segna definitivamente il proprio ritorno in pompa magna nel mondo del cinema. Un ritorno tra i “grandi” volendo essere davvero precisi, perché a ben guardare dalla sua posizione davanti ad una macchina da presa non se n’è mai davvero andato, pur prendendo parte ad un minor numero di produzioni e tutte decisamente più di nicchia. Noto principalmente per aver indossato i panni di Rick O’Connell nella trilogia de La Mummia, il 2018 lo vide nuovamente al centro dell’attenzione mediatica, non tanto per una produzione legata al suo nome, quanto per le accuse di molestie sessuali, avvenute nel 2003, rivolte all’ex presidente della Hollywood Foreign Press Association, Philip Berk. A causa di ciò, il lento declino e il rifiuto di numerosi contratti, così come il ritiro dalla scena pubblica, che con The Whale sembra giunto al termine.

La pellicola diretta da Darren Arofonsky si pone come meno legata all’immaginario visionario, onirico e metaforico che ha caratterizzato produzioni come Il Cigno Nero e Madre!, ancorandosi ad una rappresentazione della realtà molto più lucida, realistica e marcata. Adattamento dell’omonima opera teatrale del 2012, The Whale costruisce la propria architettura sulle fondamenta di una fine rappresentazione della psicologia dei personaggi, del protagonista in particolare, e sulle mirabili interpretazioni del cast, da Sadie Sink (Stranger Things), Hong Chau (The Menu), Samantha Morton (Animali Fantastici) e Ty Simpkins ( vi ricordate di Harley In Iron Man 3 e Avengers: Endgame?). Un aspetto decisamente fondamentale, trattandosi di un film girato per la quasi totalità in un singolo interno, caratteristica che rende la varietà degli elementi scenografici decisamente limitata.

Nel ventre della balena

Gravemente obeso e con gravi complicazioni di salute, Charlie conduce una vita monotona e solitaria, divisa tra corsi di scrittura online, consistenti abbuffate di cibo e le visite della sua amica infermiera Liz. I suoi studenti non sono mai riusciti a vederlo in faccia, complice la telecamera del pc tenuta rigorosamente spenta fingendo che sia rotta. Essendo oramai arrivato ad un punto di non ritorno nella sua condizione fisica, Charlie vuole a tutti i costi riallacciare i rapporti con la figlia adolescente Ellie, che non vede da ben 8 anni. Nel loro tortuoso percorso di riconciliazione, ciò che maggiormente conta è il disvelamento della reale personalità dell’uomo, del ritratto che dipinge della propria persona, in contrasto con la realtà che le sue stesse azioni hanno costruito. Sullo sfondo aleggia lo spettro della New Life, una setta religiosa che Charlie odia profondamente, estremamente significativa nel delineare la sua attuale condizione.

L’ambientazione, limitandosi al solo appartamento di Charlie, punta e costringe lo spettatore a focalizzarsi sul dramma umano che si sta svolgendo davanti ai suoi occhi. Nel descrivere la solitudine, il dolore e la profonda devastazione dell’uomo, Arofonsky non si risparmia, dando una rappresentazione lucida, dettagliata, senza veli o censure, delineando un’atmosfera devastante ma certamente umana come progresso ed evoluzione di una tragedia annunciata. Il regista restituisce con disarmante precisione e ricchezza di dettagli l’inesorabile fine di un uomo incapace di reagire al proprio dolore, viaggiando consapevolmente incontro alla morte e che nel suo egoistico desiderio di rimediare agli errori passati, trascina con sé anche coloro a cui sostiene di voler bene.

L’altra faccia della medaglia

The Whale non è certamente un film facile. Un bagaglio emotivo decisamente pesante e cospicuo quello messo in scena, che poco restituisce della speranza che il protagonista nutre per il futuro (non il suo ovviamente), e che a ben guardare appare tetro non solo per lui, ma per tutte le altre figure che gravitano intorno alla sua persona. Molto del gioco di costruzione della psicologia di Charlie si gioca sulla sua inattendibilità come narratore. Con il procedere della narrazione l’iniziale ritratto di un uomo malato, solo e devastato dal dolore della perdita delle persone a lui care, per il quale il primo istinto è quello di provare compassione e giustificazione, viene gradualmente sostituito da quello di un uomo profondamente egoista, la cui attitudine si rivela nei momenti cruciali della sua vita, mascherata da un atteggiamento ottimista di chi vuole a tutti i costi vedere il buono anche dove non c’è.

Un personaggio certamente complesso e di difficile resa, per cui la scelta del giusto attore può fare la differenza tra un’interpretazione di successo e una decisamente mediocre. Vuoi per i suoi trascorsi e per le sue naturali abilità, Fraser riesce a restituire appieno tutta la cruda sensibilità della scrittura di Samuel Hunter, dando vita ad un personaggio angosciante e tragicamente realistico. Un padre che vede in sua figlia una persona che ha dimenticato quanto possa essere meravigliosa e perfetta. Nel suo volerla aiutare, nel suo voler far riemergere la parte migliore di lei, Charlie ha già abbandonato se stesso da tempo con chiara consapevolezza, rendendo quanto mai ipocrita la sua missione. Una realizzazione sfaccettata e stratificata, resa ancora più potente dalle protesi e dal trucco realizzati da Adrien Morot, Judy Chin e Anne Marie Bradley, aggiudicatesi anch’esse un Oscar per il magnifico lavoro.

Giovani promesse e Oscar mancati

Se la mirabile interpretazione di Fraser è certamente il fiore all’occhiello di The Whale, non si possono trascurare anche quelle dell’intero cast di contorno. Sadie Sink, nei panni della figlia di Charlie, Ellie, impatta sullo schermo con la sua resa di un personaggio pieno di rabbia e rancore nei confronti del padre che l’ha abbandonata, e che sente di odiare dal profondo del cuore. Un’indole non solo ribelle, ma anche un po’ crudele e manipolatrice, a mascherare una profonda solitudine e tristezza, che rischiano di consumarla senza riserve e inesorabilmente. Al centro dei pensieri del padre e motore di molti degli eventi della storia, Ellie è alla deriva, atteggiandosi a menefreghista nei confronti di tutto ciò che la circonda e sforzandosi di tenere tutti a distanza.

Un’ottima prova per la giovane attrice, anche se si concretizza sempre più il rischio di una monotonia nella scelta delle interpretazioni, che la vedono spesso nei panni della ragazzina un po’ ribelle e proveniente da un difficile contesto familiare. Notevole anche la prova di Hong Chau, non aggiudicatasi purtroppo l’ambita statuetta come Miglior attrice non protagonista. Nei panni dell’infermiera Liz, cerca invano di convincere Charlie a prendersi maggiormente cura della sua salute, arrabbiandosi, sgridandolo, supplicandolo senza ottenere risultati. Eppure nonostante tutti i suoi sforzi, nemmeno lei crede che ci sia speranza, nemmeno lei crede che per qualcuno sia davvero possibile aiutare gli altri.

Quel pizzico di speranza che non guasta mai

The Whale è devastante, non ci sono molti altri modi per dirlo. Un ritratto incredibilmente veritiero, angosciante e tragico di persone consumate ognuna dal proprio dolore e incapaci di rialzarsi, incapaci di reagire, che sembrano andare avanti esclusivamente per inerzia, senza alcuna speranza per ciò che la vita può ancora riservargli. The Whale è un treno in corsa verso il baratro, lanciato a tutta velocità e con i freni rotti, senza un macchinista che lo guidi e lo riporti verso un tracciato meno turbolento. Un film che pur essendo oggettivamente ben costruito e splendidamente recitato, potrebbe rivelarsi divisivo in base al proprio personalissimo approccio alle difficoltà e ai dolori che la vita ci riserva giorno dopo giorno. Vedere la realtà in modo lucido aiuta a rimanere con i piedi per terra. Eppure forse non guasterebbe credere che non sia già tutto finito. Credere che alcune cose possano ancora essere bellissime.

The Whale: Pur trovandolo oggettivamente ottimo sotto moltissimi punti di vista, non posso fare a meno di pensare che non riuscirei a rivederlo. Che mi manchi la giusta sensibilità per apprezzarlo davvero? Forse, ora come ora non sono in grado di dirlo. Certo è che ho faticato ad immedesimarmi nei personaggi ed ad entrare in empatia con loro. Come ho detto, un film a mio avviso divisivo su come si decide di affrontare le difficoltà. Margherita -_maggie_r

7.5
von 10
2023-03-15T10:00:00+0000